mercoledì 10 agosto 2011

Meta sudans

Sull'asfalto davanti all'Arco di Costantino, è ancora visibile la planimetria di un'antichissima fontana il cui imponente rudere fu rimosso solo nel 1936 nei lavori di ricostruzione di via dei Fori Imperiali. Eletta da Tito nel I secolo dopo Cristo, rifatta da Costantino, era chiamata "Meta Sudans". Meta sudante, perché il suo nucleo era sormontato da una gran sfera di metallo costellata di fori dai quali l'acqua trasudava a stille, meta per via della sua forma che rappresentava la meta attorno alla quale, nei circhi, si doveva svoltare. Secondo la leggenda, vi si andavano a lavare i gladiatori sopravvissuti ai giochi del vicino anfiteatro.

Il "Lacus Curtius" del Foro Romano

Bisogna sapere che la storia delle origini di Roma era in realtà un mistero avvolto nelle nebbie del tempo anche per coloro, come l'imperatore Augusto, che vivendo intorno all'anno zero sono già per noi considerati "antichi". Scorrendo gli scritti di Tito Livio, storico di quell'epoca, abbiamo quindi la strana sensazione di "indagare nelle indagini di un indagatore". Infatti questa leggenda è antichissima, in quanto era già tale al tempo del nostro storico latino.La leggenda ha come scenario il Foro Romano, un altro luogo memorabile e suggestivo di Roma, ma in tempi antecedenti alla stessa edificazione di ciò che adesso vediamo come antiche rovine. La fondazione di Roma è infatti avvenuta da poco, stiamo nel 753 a.C., e il Foro Romano non è altro che una fumosa palude. Durante una delle battaglie fra romani e sabini, causate secondo la tradizione dal famoso "ratto" delle donne sabine, Mezio Curzio, un leggendario comandante dei sabini, rimane invischiato con il suo cavallo e precipita in un fosso melmoso. Il luogo dove cadde Mezio Curzio venne chiamato dagli antichi "Lacus Curtius" (il "lago di Curzio"). Tale fosso, successivamente alla bonifica dell'area, verrà riempito di terra e considerato sacro. Siamo nel 393 a.C., e l'antico fosso dove cadde Mezio Curzio si riapre improvvisamente come una grossa voragine, probabilmente a causa di un fulmine. Tale evento fu interpretato come un segnale infausto degli dei, per cui furono consultati gli oracoli. Il responso fu chiaro: l'ira si sarebbe placata, e la voragine si sarebbe richiusa, solo gettando nella voragine ciò che Roma avesse di più prezioso. Varie offerte furono gettate nel fosso, ma inutilmente. Marco Curzio, il più valoroso fra i soldati romani, aveva capito, lui solo, che era l'esercito ciò che Roma aveva di più prezioso. Per questo egli si armò di tutto punto, salì sul suo cavallo e si gettò con esso nella voragine. L'ira degli dei si placò, ed il fosso si richiuse grazie al sacrificio del soldato. E così, nell'estremo sacrificio dell'eroe romano, possiamo intravedere una sorta di compensazione della caduta che il suo predecessore sabino, della stessa gens, aveva fatto secoli addietro. Nella leggenda troviamo sicuramente la memoria arcaica dei sacrifici umani che venivano eseguiti in questi luoghi, in una sorta di pozzi sacri. Ma la cosa più interessante di questa antica leggenda è che il "Lacus Curtius" è stato trovato! Uscì fuori nel corso di scavi in una delle parti più antiche del Foro Romano, con tanto di antico rilievo marmoreo, rilievo che ora, come me, siete in grado di comprendere appieno nel significato.

Portico dei Consenti

Situato nei pressi del Tabularium, si tratta di un portichetto a forma di angolo ottuso scandito da colonne in stile corinzio. La presenza di una iscrizione presente sull'architrave ha permesso l'identificazione del monumento, nel quale erano conservate le statue degli Dei Consentes, ovvero gli dei consiglieri, 12 divinità del pantheon romano (si trattava 6 dèi maschi e 6 dee femmine, per la precisione: Marte, Mercurio, Giove, Nettuno, Vulcano e Apollo per gli dèi maschi, Giunone, Minerva, Vesta, Cerere e Diana per le dee femmine); da questo la derivazione moderna del nome: Portico degli Dei Consenti. Le colonne sono in marmo cipollino e sui capitelli sono presenti in rilievo raffigurazioni di trofei; la realizzazione dovrebbe risalire alla fine del I sec. d.C. circa. L'iscrizione sull'architrave ricorda i lavori di restauro compiuti nel 367 d.C. ad opera del prefetto della città Pretestato. Si pensa che risalgano allo stesso periodo del restauro le sei stanze in laterizio posizionate dietro al colonnato dove forse venivano esposte le dodici statue (probabilmente a gruppi di due). Il Portico è ben visibile dal Campidoglio senza entrare nel foro...

Tempio di Giove

Il Tempio di Giove Capitolino era il più grande monumento esistente sul Campidoglio. Conosciuto anche come Tempio di Giove Ottimo Massimo e dedicato alla triade Giove, Giunone e Minerva, fu il centro del culto di Stato romano e delle celebrazioni più importanti: davanti alla costruzione avevano luogo le cerimonie trionfali o le assemblee più solenni del senato. La prima pietra venne messa nel 509 A.C per volere di Tarquinio Prisco e venne completato nel 509 dal console Orazio Pulvillo. Le grandi dimensioni di cui era dotato rivelano la volontà di farne la Sede della Lega Federale Latina al posto del Tempio che nasceva all’epoca sul monte Albano. Una quadriga bronzea abbelliva il fronte e nel 192 A.C vennero apposti scudi dorati da Marco Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo. Lo stesso Lepido con l’aiuto di Marco Fulvio Nobiliare ne restaurarono gran parte nel 179 A.C. Nel 83 A.C. un grave incendio distrusse quasi totalmente la struttura e i Libri Sibillini, contenuti all’interno, andarono persi definitivamente. Lucio Cornelio Silla ne volle una ricostruzione in pietra e questa venne terminata da Lutezio Catulo nel 69; il nuovo edificio subì altri due incendi e venne infine ricostruito da Tito e Domiziano dopo l’80. Le ultime notizie che si hanno del tempio risalgono però alla fine del IV secolo d.C. e al giorno d’oggi non rimane quasi più nulla. Il più grande tempio etrusco finora conosciuto aveva dimensioni più che rilevanti e la sua posizione sul Campidoglio ricordava quella del Partendone ad Atene: dominante e visibile quasi da tutta Roma. Sorgeva su un podio alto 13 metri con una grande scalinata innanzi. All’interno superate tre file di colonne aveva posto una cella tripartita con la navata centrale dedicata a Giove e le due laterali a Giunone e Minerva. Sembra che la statua dedicata a Giove alla quale conduceva la navata maggiore abbia tuttora una copia fedele visibile nei Musei Vaticani: il Giove di Otricoli. I resti dell’antico tempio sono però molto scarsi: rimangono visibili tre angoli e parte delle pareti visibili all’interno del Museo Nuovo Capitolino (nella foto) mentre un lato della parte posteriore è di fronte al giardino di Piazzale Caffarelli. Sulla via del Tempio di Giove si trova invece l’angolo anteriore destro. I resti del tempio di Giove all’interno dei Musei Capitolini sono visitabili seguendo l’orario del Museo: Martedì-domenica 9.00-20.00. Altri ruderi si trovano all'interno del Foro Romano, possiamo vedere i blocchi, custoditi all'interno di una copertura in vetro (che purtroppo ne ostruisce un pò la visione) sotto la loggia di Villa Caffarelli in via del Tempio di Giove.

Santa Maria in Aracoeli

Santa Maria in Aracoeli, originariamente Santa Maria in Capitolio. Questa chiesa è sempre stata la più "popolare" delle antiche basiliche, mentre San Pietro e San Giovanni sono le chiese "papali" Santa Maria in aracoeli, per la sua vicinanza col palazzo senatorio, per la scalinata, costruita per volere del comune ed inaugurata da Cola di Rienzo e per i molti aneddoti popolari, appartiene decisamente alla "Gente" di Roma. La prima fondazione risale al VI secolo, nel luogo dove sorgeva il tempio di Giunone Moneta, in seguito intorno alla chiesa sorsero vari edifici ed in seguito un intero quartiere altomedioevale. Tutto il colle fu dato in gestione ai francescani nel 1250. La chiesa ampliata e ristrutturata entrò a far parte di un grande convento di cui oggi rimane ben poco. In aracoeli si tennero le assemblee popolari; Carlo d’Angiò e Cola di Rienzo la utilizzarono per parlare al popolo romano, era il luogo dove venivano scelti, per elezione, i Caporioni di Roma ed, infine, fu il luogo dove trovarono riparo i guelfi nella battaglia contro Arrigo VII. Qui nel 1341 fu laureato poeta Francesco Petrarca; qui si svolse, nel 1571, il trionfo del romano Marcantonio Colonna, comandante della Lega Cattolica contro i Turchi, per festeggiare la vittoria nella Battaglia di Lepanto (e per l'occasione fu costruito il soffitto che ancor oggi possiamo ammirare); qui si svolge ancora, ogni fine d'anno, il Te Deum di ringraziamento del popolo romano al quale, dal XIV secolo al XIX secolo, prese parte ininterrottamente il Pontefice stesso, presiedendolo. Sempre nell'Aracoeli inoltre, veniva celebrato solennemente il precetto natalizio delle Guardie di Palazzo del Papa, la Milizia Urbana e la Guardia Civica scelta prima, la Guardia Palatina d'Onore poi. Quando i Francesi occuparono Roma nel 1797 cacciarono i francescani e la trasformarono in stalla, distruggendo molte decorazioni in stile cosmatesco (rimane solo il pavimento) L'opera di distruzione fu poi compiuta con la costruzione del vittoriano, che comportò l'abbattimento dell'intero quartiere medievale adiacente. Tuttavia la chiesa rimane ricca di decorazioni, affreschi, statue e leggende.
Si narra che Augusto (nel tempio di Giunone) ebbe una visione, vide una donna bellissima con in braccio un bambino che gli disse "Questa è l'ara del figlio di Dio" Dalla leggenda il nome "aracoeli"
La chiesa era ed è famosa anche per il "Santo Bambino", una scultura in legno del bambino Gesù intagliata nel XV secolo con il legno d'olivo proveniente dal Giardino dei Getsemani e ricoperta di preziosissimi ex-voto. Secondo la credenza popolare era dotata di poteri miracolosi ed i fedeli vi si recavano per chiedere la grazia da un male o da una disgrazia. La statua è stata rubata nel febbraio del 1994 e mai più ritrovata. Oggi al suo posto è presente una copia, alla quale non mancano nuovi ex voto.
Nel corso del Seicento i contadini che giungevano in città per commerciare i propri prodotti, usavano sistemarsi per la notte sugli scalini della gradinata, almeno fino a quando, nottetempo, vennero lasciati rotolare dalla cima alcuni barili pieni di massi che investirono i dormienti. Per scongiurare altri episodi del genere fu deciso di chiudere l’accesso alla gradinata con alcuni cancelli che la protessero fino agli ultimi decenni dell’Ottocento. In passato la gradinata fu ritenuta anche una miracolosa “scala santa” in quanto si riteneva che percorrerla in ginocchio aiutasse le zitelle a trovare marito, le madri prive di latte ad allattare i loro figli, ed anche tutti coloro che chiedevano vincite al gioco del Lotto.

lunedì 8 agosto 2011

Lupa del campidoglio

Secondo il mito, la vestale Rea Silvia venne violentata dal dio Marte e partorì due gemelli. Il nonno dei gemelli, Numitore, fu scacciato dal trono di Alba Longa dal fratello Amulio. Per evitare che i nipoti, diventati adulti, potessero rivendicare il trono usurpato, Amulio ordinò che fossero gettati nel Tevere in una cesta. Questa cesta si incagliò sul fiume alle pendici di un colle, dove i gemelli furono trovati da una lupa che si prese cura di loro finché non furono trovati dal pastore Faustolo. L'antro della lupa era il leggendario lupercale presso il colle Palatino. La statua è l'icona stessa della fondazione della città. Le fonti antiche parlano di due statue bronzee della Lupa, una nel Lupercale, l'altra nel Campidoglio. La prima statua, quella del Palatino, è citata nel 295 a.C., quando i due edili Olgunii le aggiunsero una coppia di gemelli. Cicerone riporta come il simulacro capitolino venne colpito da un fulmine nel 65 a.C. e da allora non venne riparato. La statua che conosciamo venne quasi sicuramente realizzata tra il X e il XIV secolo, grazie alle recenti analisi condotte sulle terre di fusione usate nella lega bronzea. Fino a pochi anni fa la si riteneva invece un originale datato, con esiti diversi, dagli inizi del V secolo a.C. al III secolo a.C., che non era mai finito sotto terra. Ciò testimonia comunque la prova della continuità dello spirito romano dall'antichità attraverso il medioevo e oltre.

Fontana del Leoni

Alla base della scalinata che conduce alla piazza del Campidoglio nel 1562 vennero posti, su basamenti disegnati dal della Porta, due leoni egizi in basalto nero di Numidia che precedentemente ornavano l'ingresso della chiesa di Santo Stefano del Cacco. Furono messi ai lati della scalinata del campidoglio per volere dei Conservatori allora in carica Camillo Pignatelli, Marzio Santacroce, Ottavio Crescenzi e Tiberio Massimi (priore dei caporioni)Nel 1587, quando l'Acqua Felice venne portata sul colle capitolino, rimasto privo di acqua corrente dopo la interruzione dell'acquedotto Marcio, i due leoni vennero modificati e adattati a fontane: nel 1588 lo scalpellino Francesco Scardua, su disegno di Camillo Rusconi, eseguì due conche per la raccolta dell'acqua gettata dalle cannelle inserite nelle bocche dei leoni. In almeno due occasioni, per l'elezione di papa Innocenzo X Pamphili (1644-1655) e di papa Clemente X Altieri (1670-1676) dalle cannelle di queste fontane anziché acqua venne fatto sgorgare vino bianco e vino rosso. Nel 1880 furono rimossi e depositati nei Musei Capitolini e dobbiamo arrivare fino al 1955 per rivederli nuovamente a guardia della gradinata michelangiolesca per iniziativa di Carlo Pietrangeli che ne propose e ne attuò il ripristino.

COLA DI RIENZO

(Nicola di Lorenzo, Roma 1313 - ivi 1354). Politico romano. Di umili natali, divenne, grazie a intenso studio, notaio ed esperto di antichità romane. Convinto assertore del primato politico e culturale di Roma, si impegnò a ripristinare l'antica grandezza. Inviato in legazione presso Clemente VI ad Avignone (1343), lo invitò a rientrare a Roma per instaurarvi la repubblica. Ottenuto il favore del papa e del suo vicario, l'appoggio di comuni e signori di Lazio, Umbria e Toscana, nonché di Francesco Petrarca, sollevò il popolo capitolino contro i nobili e si fece proclamare tribuno (maggio 1347) e liberatore della città (agosto 1347). Abbandonato dal popolo, impaurito dagli interventi armati della nobiltà e del papa a causa della sua intransigenza verso i diritti ecclesiastici e nobiliari, che colpì Clemente VI e lo stesso imperatore Carlo IV, fu arrestato, ma riuscì a fuggire. Concepito un disegno di restaurazione imperiale, fece accoliti tra i gioachimiti dei monti abruzzesi e si recò a Praga presso Carlo IV per convincerlo a intervenire a Roma (1350). Arrestato e tradotto ad Avignone (1352), grazie all'intervento di Petrarca e al favore di papa Innocenzo VI fu nominato senatore e inviato a Roma, al seguito del cardinale Albornoz (1353-1354). Accolto trionfalmente, attuò una politica repressiva e venne trucidato mentre tentava la fuga durante una sommossa nobiliare. La sua statua si trova ai piedi del Campidoglio.

La fontana della Dea Roma al campidoglio

L’intero progetto di Michelangelo per la bella piazza del Campidoglio, fu commissionato da Papa Paolo III, compreso il disegno della pavimentazione che esaltava il monumento di Marco Aurelio, posto al centro della piazza. Tutto proprio come ancora oggi possiamo ammirare, fatta eccezione per la fontana della scala senatoria che non fu prevista dal Buonarroti come fontana, in quanto a quell’epoca (intorno al 1536), sul Campidoglio non c’era acqua corrente, ma come gruppo di statue. Successivamente le autorità romane, dopo aver realizzato il bottino dell’acqua Felice, decisero di far costruire in questo luogo una fontana; venne, a tal fine, bandito stranamente un concorso. Stranamente, perché sappiamo del valido e riconosciuto grande lavoro, in questo campo, che a quell’epoca era quasi esclusivo appannaggio "dell’architetto delle fontane" Jacopo Della Porta. E da supporre quindi, un rifiuto del "fontaniere" che forse non voleva alterare e modificare i progetti del grande Michelangelo per costruire un’opera della quale, tutto sommato, questa piazza non aveva bisogno. In ogni caso, vari artisti risposero al bando; fra tanti venne scelto Matteo Bartolani da Castello, già tristemente noto per essere stato sostituito da Giovanni Fontana nella costruzione dell’acquedotto per portare l’acqua Felice a Roma; e per aver ricostruito nel 1573, su commissione di Gregorio XIII, il ponte di S. Maria, oggi non più esistente in quanto crollò 23 anni dopo la ricostruzione. Nel 1588, e per l’esattezza il 15 gennaio, Matteo Bartolani vinse il concorso con un progetto nel quale apparivano 5 vasche che dovevano ricevere l’acqua che ricadeva da una lupa soprastante con le statue dei fiumi a fianco. Ma come oggi possiamo constatare, anche se questo progetto fece vincere il concorso all’architetto, non venne mai realizzato. In ogni caso i lavori furono ben presto iniziati, dopo varie modifiche a quel disegno, nel 1588 la fontana assunse l’aspetto attuale. Le due statue di colossi che sono ai lati, vennero trasferite qui dal colle Quirinale (tra il 1513 e il 1527); si trovavano nei pressi delle terme di Costantino, vicino ai gruppi dei Dioscuri. All’inizio le statue vennero collocate davanti al palazzo dei Conservatori, ma quando poi si realizzò il piano di Michelangelo per la piazza del Campidoglio, questi due colossi furono posti finalmente sotto la scala del palazzo Senatorionell’odierna posizione. La statua di sinistra che si appoggia alla sfinge rappresenta il Nilo, semi sdraiato e con una cornucopia, simbolo della fertilità (per analogia forse doveva rappresentare l’Eufrate e solo più tardi si diede l’attribuzione al grande fiume egiziano); e quella di destra che si appoggia a una roccia, accanto alla quale si vedono i due piccoli che giocano con la lupa; rappresenta il Tevere. (Inizialmente era il Tigri: solo più tardi alla tigre fu sostituita la lupa). Nella nicchia al centro della composizione Michelangelo previde l'inserimento di una colossale statua di Minerva (oggi nel cortile del museo Capitolino) che venne posizionata nel 1583, ma restò in loco solo per un decennio, poi fu sostituita con l'attuale statua, di più modeste dimensioni, della dea Roma triumphans. La statua della dea Roma, innalzata su ben tre basamenti, ha volto e estremità in marmo bianco, mentre il panneggio è in porfido. La fontana del Campidoglio è detta anche "della scala Senatoria" e "della Pallade rapita.

Le statue del Campidoglio

Nella piazza del Campidoglio e sulla sommità degli edifici presenti, sono visibili un notevole numero di statue di diverse dimensioni. Sulla sommità dei tre edifici presenti nella piazza, sono collocate diverse statue antiche, quasi tutte repliche di età romana di originali greci, che sono state utilizzate quale decorazione in base alle tendenze dell'epoca rinascimentale. Poste alla sommità della Cordonata Capitolina e sulla balaustra della piazza, sono visibili sei statue di epoca romana, divisibili in tre tipi di statue poste ai lati rispetto alla scalinata del Campidoglio.
CASTORE E POLLUCE: Le prime statue sono quelle che si trovano ai fianchi della scalinata: si tratta delle due statue dei Dioscuri, i gemelli Castore e Polluce che vennero lì poste nel 1584; queste statue vennero rinvenute nel 1560, durante i lavori all'interno del Ghetto e dovevano far parte far parte di un tempio ad essi dedicato, individuato nell'area del Circo Flaminio. Si tratta sicuramente di copie di età romana di originali greci del V secolo a.C., notevolmente restaurate come è dimostrato dalla testa della statua di sinistra che è moderna.
I TROFEI DI MARIO (nella foto in basso a destra): Le altre due statue (una a destra e l'altra a sinistra della scalinata) sono dette trofei di Mario: si tratta di due trofei con Province vinte, posti sulla balaustra della piazza nel 1590 i quali dovevano in origine servire ad adornare un monumento commemorativo per le vittorie germaniche e daciche di Domiziano (81-96 d.C.). Successivamente i due trofei vennero utilizzati come decorazione per il Ninfeo dell'Acqua Giulia (nell'attuale piazza Vittorio) costruito nel 226 dall'imperatore Alessandro Severo. I due monumenti sono normalmente conosciuti come Trofei di Mario in quanto il Ninfeo era conosciuto come tempio di Mario poiché due rilievi marmorei che lo adornavano erano stati identificati con i trofei delle vittorie di Caio Mario sui Cimbri e i Teutoni, tale denominazione è stata mantenuta sebbene si sia poi individuata la vera funzione dell'edificio. Il nome della fontana come "Trofei di Mario", appare per la prima volta in una guida per pellegrini del 1140, i Mirabilia Urbis Romae, e deriva da due grandi sculture marmoree che hanno decorato il monumento fino al 1590 (come si vede nell'incisione di Etienne Dupérac), quando papa Sisto V, secondo il progetto di Michelangelo, le ha fatte togliere e collocare sulla balaustra del Campidoglio, ai lati delle gigantesche statue dei Dioscuri, dove si trovano ancora. 
COSTANTINO: Le ultime statue, quelle poste all'esterno dei due gruppi di tre statue, raffigurano l'imperatore Costantino; tali statue vennero collocate sul Campidoglio per celebrare il ruolo di Costantino sia nella liberazione di Roma da Massenzio sia per la sua importanza per il cristianesimo.

L’arco di Tito


L'Arco venne costruito dal Senato in memoria dell'imperatore Tito dopo la sua morte avvenuta nell'81 d.C. Si trova all’inizio della via Sacra che attraversava il foro. L'arco, a un solo fornice, conserva la maggior parte delle decorazioni dal lato del Colosseo; sulla facciata si possono notare quattro semicolonne in marmo. La decorazione più importante di tutto l'arco è quella posta all'interno. Guardando in direzione del Foro Romano, sul lato sinistro si possono vedere dei portatori che trasportano oggetti conquistati nella campagna di Tito contro gli Ebrei trombe d'argento e il candelabro a sette bracci, gli oggetti più importanti al momento della conquista di Gerusalemme; accanto ad essi si possono vedere altri portatori con cartelli sui quali con buona probabilità erano incisi i nomi delle città conquistate. All'estrema destra si può notare un arco sormontato da due quadrighe: si tratta della Porta Trionfale, situata nel Foro Boario, inizio della cerimonia del trionfo. Sul pannello di destra dell'Arco si può vedere la quadriga su cui si trova Tito, preceduta dalla dea Roma che trattiene i cavalli per il morso; alle spalle dell'imperatore sono raffigurate una Vittoria e due figure maschili, un giovane a torso nudo e un anziano con la toga, nei quali alla fine si sono riconosciute le personificazioni rispettivamente del Popolo e del Senato di Roma; in secondo piano sono presenti profili di teste e numerosi fasci littori a rappresentare l'affollamento dei magistrati dietro al trionfatore. La volta a cassettoni posta al centro dell'arco presenta la raffigurazione di Tito trasportato in cielo da un'aquila (riferimento alla divinizzazione di tutti gli imperatori dopo la morte).

Foro della Pace

È uno dei Fori Imperiali di Roma, il terzo in ordine cronologico, definito dai contemporanei come una delle meraviglie del mondo (Plinio, Naturalis Historia). Nacque come un'altra grande piazza, separata dal Foro di Augusto e da quello di Cesare dalla via dell'Argileto, che metteva in comunicazione il Foro Romano con la Suburra, e più spostata verso la Velia, in direzione del Colosseo. Inizialmente separato dal Foro di Cesare e da quello di Augusto venne con essi posto in collegamento grazie alla costruzione del Foro di Nerva. Fu costruito dall'imperatore Vespasiano, nel 75 d.c., come un vasto quadrilatero circondato da portici, con il tempio inserito nel portico del lato di fondo. L'area aveva una superficie di 135 m. x 100 . La zona centrale non era però lastricata come una piazza, ma ornata con siepi, alberi e piante, con vasche d'acqua, erme e statue, vialetti e panchine, come i giardini dei ricchi Horti romani. Sul fondo del Foro si apriva il tempio della Dea Pax, che si estendeva sino alla collina della Velia, distrutta negli anni Trenta per costruire la Via dell’Impero e su cui era stata eretta nel IV sec. la Basilica si Massenzio. Era costituito da una grande aula absidata, che si apriva come un’esedra sul fondo del portico; nella sua abside era conservata la statua della Dea purtroppo non pervenuta. Il tempio, circondato da edifici simmetrici, ospitava una biblioteca greca e una latina, le spoglie di Gerusalemme col tesoro del tempio di Salomone e un museo pubblico, con una ricchissima serie di opere d'arte greche fatte trasportare da Vespasiano, oltre alle opere d'arte razziate da Nerone in Grecia e Asia Minore per abbellire la Domus Aurea, quali i gruppi dei Galati, provenienti da Pergamo, il Ganimede di Leochares, le statue di Fidia e di Policleto e i dipinti di Nicomaco. Con un pronao a sei colonne, un'aula absidata e l'altare nella piazza antistante, il tempio era inglobato nel portico, tranne per l'avancorpo del pronao. La piazza diveniva così un elemento del tempio stesso, "abbracciata" dai colonnati che da esso si dipanavano, un po' come S.Pietro è la Basilica ma pure la piazza.

Forma Urbis Severiana

La Forma Urbis Severiana è una pianta della città di Roma antica incisa su lastre di marmo risalente all'epoca di Settimio Severo, tra il 203 e il 211, e che era collocata nel Tempio della Pace (o "Foro della Pace"). Le lastre erano applicate come rivestimento parietale su una delle sale disposte all'angolo meridionale del Foro della Pace. Il fatto che l'ambiente immediatamente adiacente sia stato riutilizzato (intorno all'anno 530) per la Basilica dei Santi Cosma e Damiano ha permesso la conservazione della parete su cui erano applicate, pur con alcune modificazioni legate alla storia della chiesa. Sulla parete sono tuttora visibili i fori utilizzati per le grappe di fissaggio delle lastre.

Stemma di Campitelli.

Lo stemma è una testa di drago su campo bianco: secondo una leggenda medioevale, era la personificazione assunta dal diavolo nel tempio di Castore e Polluce nel Foro Romano.

campitelli

In questo rione è concentrata la parte più monumentale dell’antica Roma. Vi sono compresi il colle Capitolino, il Palatino e l’area del Foro Romano. Dalle mitiche origini sul Palatino alle vestigia del Foro Romano, dal Palazzo Senatorio al Vittoriano, questo rione racchiude il centro emblematico della città. Il cuore di Campitelli è sicuramente il Campidoglio, il più importante dei sette colli, anche se è il più piccolo: vi avevano sede il governo, le istituzioni civili e i principali luoghi di culto, mentre il Palatino era una zona residenziale, quella dove costruì la sua abitazione Ottaviano Augusto (da Palatium, antico nome del colle, deriva infatti il termine "palazzo", a significare nobile dimora). Nel foro si svolgevano la vita pubblica e l’attività politica, mentre la parte verso il Tevere era zona di mercato. Nel Medioevo il rione visse la sua decadenza e dei grandi monumenti restarono solo le rovine. La zona ai piedi del colle, l’unica abitata, divenne nel Rinascimento una sorta di Rive Gauche: vi abitarono, tra gli altri, Michelangelo, Giulio Romano e Pietro da Cortona. Nel Cinquecento Paolo III fece sistemare sia il Campidoglio che il Palatino, mentre il Foro continuava a essere usato come pascolo (soltanto nell’Ottocento gli scavi nella zona archeologica furono condotti sistematicamente). Tra fine Ottocento ed inizi del Novecento la zona fu oggetto di numerosi sventramenti e demolizioni che hanno cancellato intere aree di antico tessuto urbano e portato alla luce nuovi reperti archeologici: ne ha guadagnato il colle, esaltato, grazie all’isolamento, in tutta la sua bellezza. Campitelli fu nominato X rione di Roma il 18 maggio 1743, con chirografo di papa Benedetto XIV. Anche questo rione, per la costruzione del Vittoriano e di via dell'Impero, oggi via dei Fori Imperiali, ha visto sparire una buona fetta di Roma antica: strade, vicoli, chiese, via Alessandrina, piazza delle Carrette, perfino una collinetta, la Veia. L'origine del nome Campitelli ha diverse interpretazioni: o lo si riconnette a Capitolium, ossia alla gloria del Capitolium Fulgens, il tempio di Giove Ottimo Massimo, oppure lo si fa derivare dall'Aedes Telluris, cioè il tempio della Dea Terra che doveva sorgere in questa zona, oppure derivante da campus telluris, cioè "campo o piazza di terra" ovvero "sterrata". Campitelli è sicuramente il più turistico fra i rioni, ma anche il meno abitato, per la presenza dei siti archeologici che messi insieme coprono il 60% della superficie.

i rioni di roma

Il centro di Roma è suddiviso in rioni.Il termine rione è una volgarizzazione del latino regio (regione) ed è utilizzato sin dal medioevo per indicare le zone del centro storico di Roma, secondo una suddivisione che è stata modificata più volte nel corso dei secoli. Ogni rione ha uno stemma e alcune caratteristiche peculiari, quasi fossero piccoli paesi all'interno del centro di Roma. Ripercorrere le vicende di ciascuno di essi significa sempre aprire un capitolo della millenaria storia della cità. Ve ne sono alcuni le cui origini risalgono alla Roma repubblicana. Altri sono sorti solo recentemente, dopo l'unità d'Italia. Tutti sono in grado di offrire una rassegna di luoghi storici, monumenti e spazi urbani di straordinaria ricchezza.