mercoledì 10 agosto 2011

Meta sudans

Sull'asfalto davanti all'Arco di Costantino, è ancora visibile la planimetria di un'antichissima fontana il cui imponente rudere fu rimosso solo nel 1936 nei lavori di ricostruzione di via dei Fori Imperiali. Eletta da Tito nel I secolo dopo Cristo, rifatta da Costantino, era chiamata "Meta Sudans". Meta sudante, perché il suo nucleo era sormontato da una gran sfera di metallo costellata di fori dai quali l'acqua trasudava a stille, meta per via della sua forma che rappresentava la meta attorno alla quale, nei circhi, si doveva svoltare. Secondo la leggenda, vi si andavano a lavare i gladiatori sopravvissuti ai giochi del vicino anfiteatro.

Il "Lacus Curtius" del Foro Romano

Bisogna sapere che la storia delle origini di Roma era in realtà un mistero avvolto nelle nebbie del tempo anche per coloro, come l'imperatore Augusto, che vivendo intorno all'anno zero sono già per noi considerati "antichi". Scorrendo gli scritti di Tito Livio, storico di quell'epoca, abbiamo quindi la strana sensazione di "indagare nelle indagini di un indagatore". Infatti questa leggenda è antichissima, in quanto era già tale al tempo del nostro storico latino.La leggenda ha come scenario il Foro Romano, un altro luogo memorabile e suggestivo di Roma, ma in tempi antecedenti alla stessa edificazione di ciò che adesso vediamo come antiche rovine. La fondazione di Roma è infatti avvenuta da poco, stiamo nel 753 a.C., e il Foro Romano non è altro che una fumosa palude. Durante una delle battaglie fra romani e sabini, causate secondo la tradizione dal famoso "ratto" delle donne sabine, Mezio Curzio, un leggendario comandante dei sabini, rimane invischiato con il suo cavallo e precipita in un fosso melmoso. Il luogo dove cadde Mezio Curzio venne chiamato dagli antichi "Lacus Curtius" (il "lago di Curzio"). Tale fosso, successivamente alla bonifica dell'area, verrà riempito di terra e considerato sacro. Siamo nel 393 a.C., e l'antico fosso dove cadde Mezio Curzio si riapre improvvisamente come una grossa voragine, probabilmente a causa di un fulmine. Tale evento fu interpretato come un segnale infausto degli dei, per cui furono consultati gli oracoli. Il responso fu chiaro: l'ira si sarebbe placata, e la voragine si sarebbe richiusa, solo gettando nella voragine ciò che Roma avesse di più prezioso. Varie offerte furono gettate nel fosso, ma inutilmente. Marco Curzio, il più valoroso fra i soldati romani, aveva capito, lui solo, che era l'esercito ciò che Roma aveva di più prezioso. Per questo egli si armò di tutto punto, salì sul suo cavallo e si gettò con esso nella voragine. L'ira degli dei si placò, ed il fosso si richiuse grazie al sacrificio del soldato. E così, nell'estremo sacrificio dell'eroe romano, possiamo intravedere una sorta di compensazione della caduta che il suo predecessore sabino, della stessa gens, aveva fatto secoli addietro. Nella leggenda troviamo sicuramente la memoria arcaica dei sacrifici umani che venivano eseguiti in questi luoghi, in una sorta di pozzi sacri. Ma la cosa più interessante di questa antica leggenda è che il "Lacus Curtius" è stato trovato! Uscì fuori nel corso di scavi in una delle parti più antiche del Foro Romano, con tanto di antico rilievo marmoreo, rilievo che ora, come me, siete in grado di comprendere appieno nel significato.

Portico dei Consenti

Situato nei pressi del Tabularium, si tratta di un portichetto a forma di angolo ottuso scandito da colonne in stile corinzio. La presenza di una iscrizione presente sull'architrave ha permesso l'identificazione del monumento, nel quale erano conservate le statue degli Dei Consentes, ovvero gli dei consiglieri, 12 divinità del pantheon romano (si trattava 6 dèi maschi e 6 dee femmine, per la precisione: Marte, Mercurio, Giove, Nettuno, Vulcano e Apollo per gli dèi maschi, Giunone, Minerva, Vesta, Cerere e Diana per le dee femmine); da questo la derivazione moderna del nome: Portico degli Dei Consenti. Le colonne sono in marmo cipollino e sui capitelli sono presenti in rilievo raffigurazioni di trofei; la realizzazione dovrebbe risalire alla fine del I sec. d.C. circa. L'iscrizione sull'architrave ricorda i lavori di restauro compiuti nel 367 d.C. ad opera del prefetto della città Pretestato. Si pensa che risalgano allo stesso periodo del restauro le sei stanze in laterizio posizionate dietro al colonnato dove forse venivano esposte le dodici statue (probabilmente a gruppi di due). Il Portico è ben visibile dal Campidoglio senza entrare nel foro...

Tempio di Giove

Il Tempio di Giove Capitolino era il più grande monumento esistente sul Campidoglio. Conosciuto anche come Tempio di Giove Ottimo Massimo e dedicato alla triade Giove, Giunone e Minerva, fu il centro del culto di Stato romano e delle celebrazioni più importanti: davanti alla costruzione avevano luogo le cerimonie trionfali o le assemblee più solenni del senato. La prima pietra venne messa nel 509 A.C per volere di Tarquinio Prisco e venne completato nel 509 dal console Orazio Pulvillo. Le grandi dimensioni di cui era dotato rivelano la volontà di farne la Sede della Lega Federale Latina al posto del Tempio che nasceva all’epoca sul monte Albano. Una quadriga bronzea abbelliva il fronte e nel 192 A.C vennero apposti scudi dorati da Marco Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo. Lo stesso Lepido con l’aiuto di Marco Fulvio Nobiliare ne restaurarono gran parte nel 179 A.C. Nel 83 A.C. un grave incendio distrusse quasi totalmente la struttura e i Libri Sibillini, contenuti all’interno, andarono persi definitivamente. Lucio Cornelio Silla ne volle una ricostruzione in pietra e questa venne terminata da Lutezio Catulo nel 69; il nuovo edificio subì altri due incendi e venne infine ricostruito da Tito e Domiziano dopo l’80. Le ultime notizie che si hanno del tempio risalgono però alla fine del IV secolo d.C. e al giorno d’oggi non rimane quasi più nulla. Il più grande tempio etrusco finora conosciuto aveva dimensioni più che rilevanti e la sua posizione sul Campidoglio ricordava quella del Partendone ad Atene: dominante e visibile quasi da tutta Roma. Sorgeva su un podio alto 13 metri con una grande scalinata innanzi. All’interno superate tre file di colonne aveva posto una cella tripartita con la navata centrale dedicata a Giove e le due laterali a Giunone e Minerva. Sembra che la statua dedicata a Giove alla quale conduceva la navata maggiore abbia tuttora una copia fedele visibile nei Musei Vaticani: il Giove di Otricoli. I resti dell’antico tempio sono però molto scarsi: rimangono visibili tre angoli e parte delle pareti visibili all’interno del Museo Nuovo Capitolino (nella foto) mentre un lato della parte posteriore è di fronte al giardino di Piazzale Caffarelli. Sulla via del Tempio di Giove si trova invece l’angolo anteriore destro. I resti del tempio di Giove all’interno dei Musei Capitolini sono visitabili seguendo l’orario del Museo: Martedì-domenica 9.00-20.00. Altri ruderi si trovano all'interno del Foro Romano, possiamo vedere i blocchi, custoditi all'interno di una copertura in vetro (che purtroppo ne ostruisce un pò la visione) sotto la loggia di Villa Caffarelli in via del Tempio di Giove.

Santa Maria in Aracoeli

Santa Maria in Aracoeli, originariamente Santa Maria in Capitolio. Questa chiesa è sempre stata la più "popolare" delle antiche basiliche, mentre San Pietro e San Giovanni sono le chiese "papali" Santa Maria in aracoeli, per la sua vicinanza col palazzo senatorio, per la scalinata, costruita per volere del comune ed inaugurata da Cola di Rienzo e per i molti aneddoti popolari, appartiene decisamente alla "Gente" di Roma. La prima fondazione risale al VI secolo, nel luogo dove sorgeva il tempio di Giunone Moneta, in seguito intorno alla chiesa sorsero vari edifici ed in seguito un intero quartiere altomedioevale. Tutto il colle fu dato in gestione ai francescani nel 1250. La chiesa ampliata e ristrutturata entrò a far parte di un grande convento di cui oggi rimane ben poco. In aracoeli si tennero le assemblee popolari; Carlo d’Angiò e Cola di Rienzo la utilizzarono per parlare al popolo romano, era il luogo dove venivano scelti, per elezione, i Caporioni di Roma ed, infine, fu il luogo dove trovarono riparo i guelfi nella battaglia contro Arrigo VII. Qui nel 1341 fu laureato poeta Francesco Petrarca; qui si svolse, nel 1571, il trionfo del romano Marcantonio Colonna, comandante della Lega Cattolica contro i Turchi, per festeggiare la vittoria nella Battaglia di Lepanto (e per l'occasione fu costruito il soffitto che ancor oggi possiamo ammirare); qui si svolge ancora, ogni fine d'anno, il Te Deum di ringraziamento del popolo romano al quale, dal XIV secolo al XIX secolo, prese parte ininterrottamente il Pontefice stesso, presiedendolo. Sempre nell'Aracoeli inoltre, veniva celebrato solennemente il precetto natalizio delle Guardie di Palazzo del Papa, la Milizia Urbana e la Guardia Civica scelta prima, la Guardia Palatina d'Onore poi. Quando i Francesi occuparono Roma nel 1797 cacciarono i francescani e la trasformarono in stalla, distruggendo molte decorazioni in stile cosmatesco (rimane solo il pavimento) L'opera di distruzione fu poi compiuta con la costruzione del vittoriano, che comportò l'abbattimento dell'intero quartiere medievale adiacente. Tuttavia la chiesa rimane ricca di decorazioni, affreschi, statue e leggende.
Si narra che Augusto (nel tempio di Giunone) ebbe una visione, vide una donna bellissima con in braccio un bambino che gli disse "Questa è l'ara del figlio di Dio" Dalla leggenda il nome "aracoeli"
La chiesa era ed è famosa anche per il "Santo Bambino", una scultura in legno del bambino Gesù intagliata nel XV secolo con il legno d'olivo proveniente dal Giardino dei Getsemani e ricoperta di preziosissimi ex-voto. Secondo la credenza popolare era dotata di poteri miracolosi ed i fedeli vi si recavano per chiedere la grazia da un male o da una disgrazia. La statua è stata rubata nel febbraio del 1994 e mai più ritrovata. Oggi al suo posto è presente una copia, alla quale non mancano nuovi ex voto.
Nel corso del Seicento i contadini che giungevano in città per commerciare i propri prodotti, usavano sistemarsi per la notte sugli scalini della gradinata, almeno fino a quando, nottetempo, vennero lasciati rotolare dalla cima alcuni barili pieni di massi che investirono i dormienti. Per scongiurare altri episodi del genere fu deciso di chiudere l’accesso alla gradinata con alcuni cancelli che la protessero fino agli ultimi decenni dell’Ottocento. In passato la gradinata fu ritenuta anche una miracolosa “scala santa” in quanto si riteneva che percorrerla in ginocchio aiutasse le zitelle a trovare marito, le madri prive di latte ad allattare i loro figli, ed anche tutti coloro che chiedevano vincite al gioco del Lotto.

lunedì 8 agosto 2011

Lupa del campidoglio

Secondo il mito, la vestale Rea Silvia venne violentata dal dio Marte e partorì due gemelli. Il nonno dei gemelli, Numitore, fu scacciato dal trono di Alba Longa dal fratello Amulio. Per evitare che i nipoti, diventati adulti, potessero rivendicare il trono usurpato, Amulio ordinò che fossero gettati nel Tevere in una cesta. Questa cesta si incagliò sul fiume alle pendici di un colle, dove i gemelli furono trovati da una lupa che si prese cura di loro finché non furono trovati dal pastore Faustolo. L'antro della lupa era il leggendario lupercale presso il colle Palatino. La statua è l'icona stessa della fondazione della città. Le fonti antiche parlano di due statue bronzee della Lupa, una nel Lupercale, l'altra nel Campidoglio. La prima statua, quella del Palatino, è citata nel 295 a.C., quando i due edili Olgunii le aggiunsero una coppia di gemelli. Cicerone riporta come il simulacro capitolino venne colpito da un fulmine nel 65 a.C. e da allora non venne riparato. La statua che conosciamo venne quasi sicuramente realizzata tra il X e il XIV secolo, grazie alle recenti analisi condotte sulle terre di fusione usate nella lega bronzea. Fino a pochi anni fa la si riteneva invece un originale datato, con esiti diversi, dagli inizi del V secolo a.C. al III secolo a.C., che non era mai finito sotto terra. Ciò testimonia comunque la prova della continuità dello spirito romano dall'antichità attraverso il medioevo e oltre.

Fontana del Leoni

Alla base della scalinata che conduce alla piazza del Campidoglio nel 1562 vennero posti, su basamenti disegnati dal della Porta, due leoni egizi in basalto nero di Numidia che precedentemente ornavano l'ingresso della chiesa di Santo Stefano del Cacco. Furono messi ai lati della scalinata del campidoglio per volere dei Conservatori allora in carica Camillo Pignatelli, Marzio Santacroce, Ottavio Crescenzi e Tiberio Massimi (priore dei caporioni)Nel 1587, quando l'Acqua Felice venne portata sul colle capitolino, rimasto privo di acqua corrente dopo la interruzione dell'acquedotto Marcio, i due leoni vennero modificati e adattati a fontane: nel 1588 lo scalpellino Francesco Scardua, su disegno di Camillo Rusconi, eseguì due conche per la raccolta dell'acqua gettata dalle cannelle inserite nelle bocche dei leoni. In almeno due occasioni, per l'elezione di papa Innocenzo X Pamphili (1644-1655) e di papa Clemente X Altieri (1670-1676) dalle cannelle di queste fontane anziché acqua venne fatto sgorgare vino bianco e vino rosso. Nel 1880 furono rimossi e depositati nei Musei Capitolini e dobbiamo arrivare fino al 1955 per rivederli nuovamente a guardia della gradinata michelangiolesca per iniziativa di Carlo Pietrangeli che ne propose e ne attuò il ripristino.